Introduzione al concerto – La sinfonia negli ultimi decenni del ‘700
L’ultimo concerto della stagione prosegue la nostra esplorazione di quell’epoca veramente classica per il concertismo, ma soprattutto per il sinfonismo, che furono gli ultimi decenni del Settecento. Oltre al “padrone di casa” Haydn ed a Mozart, ci siamo negli ultimi anni soffermati non solo su altri grandi creatori, come Carl Philipp Emmanuel Bach e Luigi Boccherini, ma anche su figure meno conosciute di compositori-interpreti, quali Viotti, Vanhal e Rolla. Prima del ‘700 il termine “sinfonia” era usato per contraddistinguere pezzi di vario tipo. Il genere musicale che oggi conosciamo con tale nome si venne formando lentamente, durante tale secolo, da varie forme precedenti, ma in particolare dai pezzi d’insieme puramente strumentali che introducevano opere vocali o musica sacra, dopo che essi iniziarono ad essere eseguiti separatamente, nel corso delle cosiddette “accademie” tenute in luoghi pubblici o nei palazzi aristocratici. Da qui alla creazione di sinfonie come brani interamente autonomi il passo fu breve, ed il periodo dal 1730 al 1750 conobbe una vera e propria esplosione di compositori e scuole, soprattutto in Germania ed a Vienna, ma anche in Italia, con il milanese Sammartini. È difficile riassumere in breve spazio l’evoluzione che portò alle grandi sinfonie di Haydn e Mozart. Ne richiameremo solo alcuni punti essenziali: l’aggiunta stabile, a partire dal 1740, ai soli archi con basso continuo (la sinfonia “a 4”) dapprima di oboi e corni, poi di altri fiati; la creazione di nuovi effetti orchestrali, quali per esempio i crescendo e decrescendo (aumenti o diminuzioni graduali dell’intensità sonora), volti ad ottenere svolgimenti più drammatici ed emotivamente coinvolgenti per l’ascoltatore; varie possibili strutture per il primo movimento, tra le quali prevalse la cosiddetta “forma-sonata” basata sui rapporti di tonica-dominante, con esposizione bitematica, sviluppo e ricapitolazione; l’inserimento nella struttura simmetrica veloce-lento-veloce, ereditata dal concerto barocco, di un tempo a carattere di danza stilizzata, il minuetto con trio (consuetudine iniziata verso il 1760); la progressiva crescita di importanza del finale, in forma di primo tempo di sonata semplificato, o di tema variato, o più frequentemente di rondò (alternanza ciclica di ritornello e temi). Va da sé che le caratteristiche che abbiamo così sommariamente indicato, non diverranno mai norma assoluta, almeno per i grandi creatori (come vedremo durante questo stesso concerto). In quanto a Haydn, sebbene non sia del tutto esatto affermare che egli sia stato il padre della sinfonia (lo fu molto di più per il quartetto d’archi), è altresì reale che egli ne accompagnò la crescita per quasi quarant’anni, fino a farne il genere più importante ed elevato della musica colta profana. Per un lungo periodo, lavorando alle dipendenze di pur colti aristocratici, i gusti del suo pubblico non erano favorevoli ai cambiamenti rivoluzionari. Tuttavia, anche senza porsi traguardi ben definiti, egli seppe apportare miglioramenti continui, sinfonia dopo sinfonia, fino a superare tutto ciò che era stato scritto prima: il suo genio scopriva modi sempre nuovi di creare contrasti o combinazioni orchestrali, così come di sfruttare la massa sonora d’insieme. Le sinfonie haydniane sono così numerose che è possibile suddividerle in veri e propri periodi creativi. L’ultima fase comprende le sei sinfonie “parigine”, le cinque composte tra il 1787 ed il 1789, ed infine le dodici “londinesi”. In queste opere maestrìa e padronanza del mezzo sonoro divengono assolute, perfette, e forse ineguagliate nella storia di questo genere musicale, dato che in tutti gli altri grandi sinfonisti (compresi Beethoven, Brahms e Bruckner) è possibile percepire l’esistenza di punti deboli, talvolta anche nei loro capolavori, come a sfilacciare un poco la trama del tessuto musicale, che facendosi più rada mostra l’ordito sottostante. Si sono fin qui citati numerosi “numi tutelari” della storia della sinfonia, ma non si è ancora nominato il secondo protagonista della nostra serata, cioè Mozart. In una prospettiva puramente evolutiva, il suo influsso non fu certamente comparabile a quello di Haydn, dei figli di Bach, o di compositori come Stamitz e Dittersdorf. Più decisivo e continuo fu, ad esempio, il suo apporto alla storia del concerto per pianoforte, genere sul quale egli puntava maggiormente. Purtuttavia, e non vi sarebbe certo bisogno di dirlo, egli compose anche numerosi immortali capolavori sinfonici.
Il programma
Franz Joseph Haydn - Sinfonia No.101 in Re maggiore
“Vorrei ora parlarvi delle sue nuove sinfonie, composte espressamente per questi concerti, e da lui stesso dirette. È veramente meravigliosa la sublimità di pensieri che questo augusto maestro tesse nelle sue opere. [...] In ogni sinfonia di Haydn, è certo che l'adagio o l’andante dovrà essere ripetuto, dopo i bis più veementi. Il degno Haydn, della cui conoscenza personale vivamente mi pregio, si comporta in queste occasioni nel modo più modesto. È davvero un uomo di buon cuore, schietto, onesto, stimato e amato da tutti.”
Dal «Journal of Luxury and Fashion», 25 marzo 1794
Dal «Journal of Luxury and Fashion», 25 marzo 1794
Al pari della No.104, presentata l’anno scorso, la Sinfonia 101 fa parte del gruppo delle “londinesi”, scritte per essere eseguite nel corso dei due viaggi nell’isola che Haydn intraprese, rispettivamente, nel 1791-92 e nel 1794-95, dopo la morte del principe Eszterházy, al cui servizio era rimasto per quasi trent’anni. Il musicista giunse nella capitale britannica su invito dell’impresario Johann Peter Salomon. Nel corso del secondo viaggio, che ebbe un esito altrettanto trionfale del primo, fu eseguita (il 3 marzo 1794) anche la nostra Sinfonia, diretta dall’autore e con Salomon come primo violino. Essa dimostra la sua trasformazione da compositore di corte stipendiato per scrivere musica da intrattenimento, a musicista che creava senza più condizionamenti, e si confrontava direttamente con un pubblico vasto ed eterogeneo, non solo con un selezionato uditorio aristocratico. Nelle sinfonie di Londra Haydn raccolse e vinse tale sfida, creando un monumento musicale in grado di stare alla pari con le ultime creazioni mozartiane, e che avrebbe avuto un influsso decisivo su tutta la storia del sinfonismo, fissando il linguaggio in una forma che sarebbe poi stata utilizzata da tutti i grandi musicisti della generazione successiva, come Beethoven e Schubert, senza apportarvi sostanziali mutamenti. Tra i molti aspetti importanti di queste opere, uno dei più interessanti (e più immediatamente percepibili) è l’ingresso stabile, nelle partiture sinfoniche, di trombe, clarinetti e timpani, prima utilizzati in modo occasionale. Il linguaggio haydniano, si diceva, avrebbe avuto un influsso decisivo sulla storia del sinfonismo… ma non lo ebbe sui gusti dell’ascoltatore medio che, dall’800 e fino a oggi, avrebbe sempre preferito la musicalità più a fior di pelle, la drammaticità più “preromantica” di Mozart, rispetto all’equilibrio ed alla presa di distanza ironica - nel senso socratico del termine - del creatore dalla sua stessa creazione, una delle qualità che più caratterizzavano artisticamente e umanamente Haydn, saggio figlio del popolo proveniente da una famiglia di modesta condizione economica (padre carrettiere, madre cuoca) della Bassa Austria. Come avviene di frequente nelle ultime sinfonie haydniane, anche la 101 inizia con un Adagio, misterioso e oscuro e forse non immemore dell’inizio del “Don Giovanni” di Mozart. A sorpresa, si sfocia senza transizioni in un leggero e danzante Presto in 6/8, dall’umore antitetico. Il primo tema, enunciato immediatamente, è costituito da una semplice scaletta ascendente, e ben evidenzia la suprema semplicità del genio, capace di costruire un capolavoro utilizzando materiale del tutto convenzionale, che compositori meno dotati avrebbero usato soltanto come riempitivo nei passaggi di transizione. Il secondo tema è costituito da un motivo discendente non dissimile dal primo. Lo “sviluppo”, assai elaborato e ricco di colori rispetto alle sinfonie coeve, fa ricorso a una densa scrittura fugata e a una drammatica intensificazione “a terrazze” (ripetizione in crescendo di un breve motivo), mentre la “ripresa” non si limita alla ricapitolazione finale dei temi, ma vi aggiunge brevi modulazioni armoniche inattese. Nella “coda”, a poche battute dalla fine, il flauto introduce nitidamente il motivo che conclude la Sinfonia "Jupiter" di Mozart: forse l’ultimo commosso saluto ad un amico troppo presto scomparso. L’Andante in Sol maggiore, scandito in un tempo di 2/4 nel quale archi e fagotti ticchettando in pianissimo accompagnano la melodia dei violini, ha procurato alla sinfonia il suo soprannome (e se ne ricorderà Beethoven nell’Allegretto della Ottava Sinfonia). Ma, qui come altrove, il sollecitare la complicità e la memoria dell’ascoltatore grazie all’utilizzo del “caratteristico” non scade mai, in Haydn, nel grossolano, grazie al tratto lieve e all’uso di un’intelligenza ironica e sempre vigile. Il tema, dallo spirito di una serenata, è dapprima esposto dai violini e poi ripreso dai flauti, che già avevano avuto un ruolo importante nel primo tempo. L’ampio episodio centrale in Sol minore, aperto da un “tutti” orchestrale, ha lo stesso andamento ritmico, ma viene sviluppato in maniera inattesa, fino a toccare tonalità lontane. E come nel Presto, la riapparizione del primo tema non è semplice ripetizione, bensì lo spunto per ulteriori divagazioni, con il flauto in evidenza. Il terzo movimento è un Menuetto settecentesco, ma il suo nobile fraseggio, modellato ad ampie campate, ne fa già un preludio degli “scherzi” beethoveniani. Nel Trio centrale è ancora una volta la voce del flauto a instaurare un dialogo solistico con il resto dell’orchestra. Il Finale, che potrebbe apparire un po’ sbrigativo rispetto agli altri movimenti, rivela in realtà al contempo la maestrìa compositiva e la personalità dell’autore: rondò, forma sonata ed una doppia fuga a 4 voci sono perfettamente fusi senza lasciare alcuna scoria di lavorazione, ma tutto è lasciato sempre in un tono basso, mai dimostrativo. Questa modestia, questo rispetto dei limiti è un altro lascito del classicismo musicale, di quella “civiltà della sonata” che ancora ci illumina e della quale Haydn fu esponente sommo. (Durata: circa 30 minuti)
Wolfgang Amadeus Mozart - Sinfonia No.35 K.385 in Re maggiore
"...lo confesso, ora sono invidioso. Sì, invidio in modo profondo e doloroso.
O Dio! Dov'è giustizia, se il dono sacro, se l'immortale genio non è concesso
in premio ad un amore ardente, a un duro lavoro, a tanti sacrifici e tante preghiere, ma risplende sul capo d'un folle, d'un vacuo perdigiorno?
O Dio! Dov'è giustizia, se il dono sacro, se l'immortale genio non è concesso
in premio ad un amore ardente, a un duro lavoro, a tanti sacrifici e tante preghiere, ma risplende sul capo d'un folle, d'un vacuo perdigiorno?
(Aleksandr Sergeevič Puškin, «Mozart e Salieri»)
La Sinfonia No.35 di Mozart costituisce la prima del gruppo delle ultime sei (dato che la No.37 fu in gran parte scritta da Michael Haydn). Fu composta a Vienna nel 1782, un anno dopo che Mozart - dopo una lunga serie di assenze - era stato licenziato da Salisburgo, ricevendo come liquidazione un calcio nel sedere (non figurato) da parte del segretario dell’arcivescovo Colloredo, e si era trasferito nella capitale per intraprendervi, primo tra i grandi compositori, quell’attività da libero professionista della musica che sarebbe finita per lui tanto male. Finì male, ma non per le macchinazioni del perfido Salieri, come insinuavano il regista Forman in “Amadeus”, e prima di lui il poeta russo Puškin: Antonio Salieri era un buon uomo che sarebbe stato ricordato con stima anche da un allievo di nome Ludwig van Beethoven. La colpa fu del fatto che Wolfgang era sì un genio nella musica, ma purtroppo pessimo sia nelle pubbliche relazioni sia come marketing director di sé stesso. Nei pochi anni che gli restavano da vivere avrebbe scritto oltre 250 lavori, inclusi 17 concerti per pianoforte e 7 opere, saturando rapidamente ogni possibilità di assorbimento da parte del pubblico. Del resto, pochi decenni dopo di lui, anche un altro gigante della musica, l’ex maestro di scuola Schubert, avrebbe mancato il bersaglio e sarebbe morto pressoché in miseria. Crediamo, se le conoscenze non ci ingannano, che il primo musicista importante che riuscì a farsi imprenditore di sé stesso e a guadagnare fu Muzio Clementi, a Londra. E in fondo anche lo stesso Beethoven, per quanto ruvido e irriconoscente, riuscì a crearsi una cerchia di amici e protettori che quasi mai gli fece mancare il suo discreto aiuto nei periodi difficili, nonché a trovare editori disponibili a pubblicare persino opere per l’epoca assai ardue, come gli ultimi quartetti. Tornando a quell’estate del 1782, la storia della creazione di questa sinfonia è ben conosciuta. Mozart ricevette dal padre Leopold la richiesta di una nuova serenata, commissionata per la nobilitazione del figlio del suo amico salisburghese Sigmund Haffner. Affannosamente stretto tra l’ultimazione de “Il ratto dal serraglio” e il suo imminente matrimonio, egli la compose in fretta e controvoglia («Non mi piace buttar giù scarabocchi!», commentò poi). Qualche mese dopo, richiesto nuovamente il manoscritto al padre, vi espunse un secondo Minuetto e la Marcia che apriva e concludeva il lavoro, adattò il primo e l’ultimo tempo, ed aggiunse flauti e clarinetti, ricavandone la nostra sinfonia, che alla prima esecuzione, avvenuta nel marzo 1783, sorprese piacevolmente persino lui. L’Allegro con spirito si apre con un salto dell’orchestra all’unisono, in un gesto quasi d’impazienza o d’esasperazione, seguito dalla risposta dei violini (la differenza tra Haydn e Mozart emerge nettamente anche dal carattere dei loro temi: generalmente più leggeri e concisi quelli del primo, più caratterizzati e ampi quelli del secondo). Ma altri scarti e passaggi bruschi non mancheranno nel corso del primo e dell’ultimo tempo. Tutto il movimento è basato su questo tema, che viene dapprima ripetuto in forma imitativa, e poi mantenuto in sottofondo agli archi anche durante l’enunciazione del secondo tema da parte dei fiati. Alcuni commentatori hanno persino considerato l’Allegro con spirito della Haffner come monotematico, facendo paragoni con alcuni primi tempi delle sinfonie di Haydn dello stesso periodo. Lo sviluppo vero e proprio, prevalentemente in modo minore, fa largo uso di macchie di colore strumentale e del contrappunto; è noto che nell’inverno precedente il nostro autore aveva studiato attentamente le opere di Bach e Händel. L’Andante ed il Minuetto con Trio, che rinunciano ai flauti ed ai clarinetti, sono i movimenti della sinfonia che più ne rivelano l’origine di serenata, un genere certamente convenzionale, ma che a noi pare anche quello dell’utopia mozartiana: negli incantati giardini notturni e negli idilli campestri evocati dalle Serenate scorgiamo il vagheggiamento di una riconciliazione tra natura e cultura, tanto contrapposte dalla cultura illuministica. Insomma, prima dell’utopia umanitaria beethoveniana, e di quella schubertiana di un mondo basato sull’amicizia, vi è quella mozartiana del ritrovamento di una perduta innocenza umana, che sarà poi compiutamente espressa nel Flauto magico, ed in modo toccante nell’elisio finale dell’ultimo Concerto per pianoforte. Il frenetico Finale (“da suonarsi più presto possibile”) esordisce con un tema degli archi all’unisono, tratto dal “Ratto dal serraglio”, precisamente l’aria «Ah, come trionferò!» cantata dal capo degli schiavi Osmino. Più eloquente di così… Si tratta di un movimento in forma di rondò-sonata a due temi, molto serrato nei suoi pochi minuti di durata e che, prima della coda, inserisce a sorpresa un altro breve motivo tratto dall’opera. Il fragore dei colpi di timpano allo scoperto aggiunge una nota di umorismo finale a questa sinfonia, così ricca di umori contrastanti. (Durata: circa 25 minuti).
(a cura di Massimo Sacchi)
Orchestra da camera della città di Legnano Franz Joseph Haydn
sito web: www.orchestralegnano.org
e-mail: orchestralegnano@alice.it
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